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Vikings – 2×05 – Answers in Blood

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Per essere un episodio il cui momento di climax viene raggiunto dalla sanguinosa e lungamente attesa battaglia che vede contrapporsi i guerrieri di Jarl Borg contro il piccolo esercito che Ragnar è riuscito a raccogliere attorno a sé dopo essere tornato di gran fretta dall’Inghilterra alla notizia dell’invasione, Answers in Blood è un episodio sorprendentemente intimo, sorprendentemente introspettivo. Non lo si sarebbe detto, a partire solo dal titolo, eppure basta analizzare le due storyline principali che ne hanno composto lo svolgimento per capire che è davvero il sangue, metaforicamente e letteralmente parlando, l’unico filo che lo attraversa dal principio alla fine, legandone insieme le due anime distinte sia a livello di personaggi coinvolti sia a livello geografico.

Per affrontare il tema del sangue, di come e quanto incide nella vita di un uomo e dell’importanza che riveste all’interno delle sue vicende, ancora una volta Hirst si affida alla contrapposizione che allo stesso tempo lega e distanzia Ragnar ed Athelstan. È osservando le alterne vicende nelle quali i due uomini si trovano invischiati, il primo finalmente di ritorno – da vincitore – alla sua amata Kattegat, il secondo prigioniero dal guinzaglio lungo alla corte di Re Ecbert, che scopriamo man mano e ci fermiamo a riflettere sul sangue come simbolo di unione, prima ancora che come tributo da versare sui campi di battaglia o durante una cerimonia religiosa.

RAGNAR, OVVERO: IL SANGUE COME FAMIGLIA.

L’egocentrismo che caratterizza ogni azione ed ogni scelta di Ragnar non lo darebbe mai a intendere, ma Jarl Lothbrok deve quasi tutto ciò che possiede alla sua famiglia. Answers in Blood sottolinea e ricorda questo concetto di base: è a Rollo che Ragnar deve la salvezza di Aslaug e dei suoi figli, è a Lagertha e al suo tempestivo ritorno che Ragnar deve la capacità di mettere in fuga i guerrieri di Jarl Borg, è al primogenito Bjorn che Ragnar deve la buona riuscita del piano che spinge Borg a lasciare il nido sicuro che s’è costruito a Kattegat per affrontare Ragnar a viso aperto, scelta che ne decreterà la disfatta.

Di fronte ad una tale dimostrazione dell’ovvio, lo spettatore sarebbe portato a pensare che le vicende affrontate da Ragnar l’abbiano posto in una diversa condizione mentale, che l’abbiano aiutato a capire l’importanza di tutte queste persone a lui legate solo da vincoli di sangue e affetto, che gli abbiano consentito di rimettere le proprie scelte passate in prospettiva, suggerendogliene di migliori per il futuro.

Così non è, però, e questo perché Ragnar, lungi dall’essere un eroe perfetto, è ben più simile alla figura di un leggendario anti-eroe che a quella di un protagonista buono che lo spettatore troverebbe certamente più facile per catalizzare la sua empatia, ma che di contro perderebbe gran parte del proprio fascino. L’egoismo di Ragnar non ha limiti, come non ha confini la sua sete di conquista e scoperta: Ragnar non vuole “qualcosa”, non vuole “il giusto” e non vuole nemmeno “tanto”. Ragnar vuole tutto.

Così, quando torna a Kattegat col proprio esercito vittorioso, circondato non solo dalla sua seconda moglie e dai suoi bambini, ma anche da tutto il resto della sua famiglia, Ragnar non può accettare di separarsene, e come già aveva fatto con Rollo in passato copre la propria incapacità di accettare di aver perso qualcuno con gesti solo apparentemente magnanimi, che sottolineano il suo attaccamento per ciò che in realtà è: avarizia.

Ragnar non poteva accettare di perdere suo fratello, e perciò l’ha salvato dalla morte. Allo stesso modo, però, non può accettare che suo fratello, una persona che considera una sua proprietà, l’abbia tradito in passato, e perciò continua a punirlo. Stessa cosa vale anche per Lagertha e Bjorn: incapace di separarsi da loro, li coinvolge nella sua vita, li fa sentire indispensabili, chiede a Lagertha di restare con lui dimostrando di fregarsene ampiamente del parere di Aslaug al riguardo. Eppure rimprovera il figlio aspramente per un errore che avrebbe potuto avere delle conseguenze catastrofiche ma che, infine, non le ha avute; eppure si rifiuta ancora una volta di ammettere che ama Lagertha più di quanto non sarà mai in grado di amare Aslaug, e rimette nelle sue mani una scelta che, viste le condizioni, non può che essere la stessa che ha già portato Lagertha ad andarsene sette anni prima.

Bjorn riceve da sua madre il permesso di restare, ma nel tentativo di stringere fra le proprie dita ogni cosa Ragnar perde Lagertha ancora una volta. Eppure il loro legame è ancora lì, ancora saldo nonostante tutto.

ATHELSTAN, OVVERO: IL SANGUE COME IDENTITA’.

Frattanto Athelstan, legato a re Ecbert dal vincolo di gratitudine per averlo salvato dalla crocifissione ma, a conti fatti, tenuto a palazzo come un prigioniero privo di catene, fatica a riconciliarsi col cristianesimo, con la propria antica religione, e questa difficoltà non dipende soltanto dall’insistenza con la quale tutti, a corte, si premurano di ricordargli che è ormai considerato un pagano proprio come i vichinghi fra i quali è stato trovato.

Dopo un inizio in sordina, l’analisi introspettiva che Hirst sta compiendo su Athelstan e sulla sua identità ha fatto passi da gigante, ritrovandosi ad essere, in questo quinto episodio, parte fondamentale della narrazione. Tormentato dai sensi di colpa da entrambe le parti (colpevole di aver abbandonato il cristianesimo prima, e di aver poi rinnegato gli dei norreni una volta catturato), Athelstan ha perso la sua identità, e si ritrova ora in un limbo a metà strada fra l’una cosa e l’altra, incapace di capire in cosa crede, incapace di dare un senso e una direzione a questo nuovo se stesso, né cristiano né pagano ma alla disperata ricerca di qualcosa in cui confidare.

Per quanto si sforzi, fatica sempre di più ad identificare le differenze fra la sua vecchia religione e quella nuova, entrambe fondanti su riti che pongono alla loro base lo stesso sacrificio (corpo e sangue offerto a Dio o agli dei), pur se in modalità diverse. Angosciato fino all’ossessione, rifiuta la comunione ed è preda di visioni che lo tormentano perfino quando chiede a Dio un segno per tornare a credere. E se è un segno il demone che vede nella sua stanza mentre è intento a pregare, allora non è un caso che anche questo segno si porti dietro una traccia di sangue nella piccola ferita che gli lascia su uno zigomo prima di scomparire.

Vikings continua non solo a non deludere, ma a stupire con la profondità e l’intelligenza della propria narrazione, bene attento a non abbandonare il proprio ruolo quasi didattico e formativo (non più, in questa seconda stagione, nei confronti della società vichinga, ma in quelli della crescita umana dell’individuo), ma anche deciso a farlo offrendo uno spettacolo estremamente interessante e divertente. Non possiamo che accogliere con gioia la notizia del rinnovo.

Fuck Yeah

Nota (personalissima e sentita):

Ma che personaggio della Madonna è Lagertha? Ragnar, sei un imbecille.

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